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Il Ghetto Ebraico: Una Visita nel Cuore Storico di Roma

Roma è la città delle Chiese, dei monumenti imponenti, delle grandi piazze e dei vicoli pittoreschi. Quasi ogni angolo della capitale italiana è legata a filo doppio con il Vaticano e la Chiesa cattolica, alla luce dei lunghi secoli che hanno visto il papato e Roma vivere l’uno nell’altro, come una cosa sola.

C’è però un angolo nel cuore di Roma che ha mantenuto una sua identità e unicità nei secoli. Stiamo parlando del Ghetto ebraico che sorge sulle rive del Tevere di fronte al rione di Trastevere.


Dalle origini fino alla fine del ‘700


La comunità ebraica di Roma è presente nell’urbe fin dalla distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei romani nel 70 d.C. e iniziò in modo progressivo ad occupare i territori posti sulle rive del fiume, primariamente nell’area di Trastevere. Nel momento in cui la comunità cominciò a incrementare, tra il 1300 e il 1400, molti cominciarono a spostarsi sulla riva opposta dell’Isola Tiberina.
Fu nel 1555 che Paolo IV Carafa con una bolla papale decretò la costruzione di un muro, controllato a vista da guardie papali, entro il quale dovevano essere contenuti tutti gli ebrei romani. Questo muro veniva aperto ogni giorno all’alba e richiuso al tramonto. Gli ebrei vivevano peraltro in condizioni molto difficili: non potevano avere proprietà, vivevano in affitto in appartamenti piccolissimi con scarsissima igiene, svolgevano lavori umili. Nonostante ciò gli ebrei romani riuscirono a mantenere la loro identità e dignità in un ambiente ostile.
Il miglioramento delle loro condizioni di vita era strettamente collegato con il papato; alcuni pontefici infatti si dimostravano più clementi di altri ma complessivamente le loro condizioni erano al limite dell’indigenza.


Il Ghetto tra 1800 e 1900

Fu il re Vittorio Emanuele II a decidere di smantellare completamente il muro che divideva la comunità ebraica dal resto della città e a restituire la cittadinanza agli ebrei; su tale scia tra il 1901 e il 1904 venne costruito il Tempio, che divenne la Sinagoga più grande d’Europa. L’opera, progettata dagli architetti Armani e Costa sorge proprio di fronte al Portico d’Ottavia.


Il Rastrellamento del 16 ottobre 1943 e il II Dopoguerra


Il periodo di relativa tranquillità vissuta dalla comunità ebraica durò però purtroppo molto poco.
Dopo il bombardamento di San Lorenzo nel luglio ’43 e la conseguente occupazione di Roma, i nazisti comandati da Kappler chiesero alla comunità cinquanta chilogrammi d’oro in 36 ore: se gli ebrei avessero consegnato questo quantitativo nessuno della loro popolazione sarebbe stato toccato. Naturalmente la comunità non consegnò mai l’oro ai nazisti che tra le ore 5.30 e le ore 14.00 di sabato 16 ottobre 1943 – il cosiddetto “Sabato nero” – arrestarono ben 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini. Quasi tutti i deportati si trovavano all’interno del Ghetto di Roma. Solamente in 16 fecero ritorno a casa dopo le operazioni di liberazione dei campi di sterminio da parte delle truppe alleate; solo una persona sulle 16 superstiti, Settimia Spizzichino, era una donna.
Grazie a coloro che si salvarono dal rastrellamento, il ghetto tornò a vivere in armonia e in pace con il resto del tessuto urbano.


Il Ghetto Ebraico di Roma oggi

Oggi il Ghetto Ebraico di Roma è un luogo vibrante, che mescola storia e modernità in un affascinante mosaico urbano.

Durante una visita di Roma, una passeggiata al Ghetto Ebraico è un’esperienza imperdibile. Camminare tra le sue strade secolari, ammirare le sue sinagoghe storiche e assaporare i suoi piatti tradizionali kosher è un modo unico per immergersi nella vibrante cultura ebraica di Roma.

In via Portico d’Ottavia tra i ristoranti più conosciuti ci sono la Taverna del Ghetto, Ba Ghetto Carne, BellaCarne, Giggetto e Sora Margherita. Carciofi alla giudia, primi piatti tradizionali e dolci della tradizione non deluderanno assolutamente le aspettative!

Photo credits: @marchino08 on Tripadvisor

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